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Camillo Zanolli

LA VITA E LO SCI

E' sempre stato un ribelle di natura, fin da piccolino. Di un temperamento che definirlo vivace, come si fa oggi, sarebbe eufemistico. Non si poteva lasciarlo libero un attimo che ne combinava una. Camillo Zanolli, classe 1929, da Val di Zoldo (BL), se non ha preso una brutta strada lo deve allo sport e anche alla "naja" dove, per sua fortuna, ha incontrato un sottufficiale che ha saputo capirlo, lo ha "lavorato" nel carattere e nel fisico, e ne ha fatto un ottimo atleta. Roba da non crederci dopo una vita da miseria, negli anni giovanili, che lo aveva costretto a fare un po' tutti i mestieri (muratore e carpentiere in particolare) finché gli è arrivata la cartolina precetto. Una vita di soggezione. Il papà era un comunista sfegatato in un periodo, quello del regime fascista, in cui i "rossi", quando non venivano mandati al confine, erano emarginati dalla società. Non poteva vedere lo sport, che considerava un'inutile perdita di tempo; gli interessava solo che si lavorasse e a farne le spese era inevitabilmente il figlio costretto a sfogare, di nascosto dal genitore, la sua predisposizione ad ogni sport di fatica e di resistenza. Lo sci, in questa vallata che dopo l'inverno si spopolava per andare a far gelati in Germania, costituiva quasi una vocazione: era naturale che il piccolo Camillo ne fosse attratto. Però non c'erano piste e neppure qualcuno che si prendesse la briga di dare i primi rudimenti della tecnica a questi ragazzini che crescevano quasi allo stato brado, girando per boschi e prati e scimmiottando i grandi.

L'esordio agonistico avvenne nei primi anni delle elementari, in una gara di fondo organizzata dal segretario locale del partito fascista.Un avvenimento per il paese, con i premi esposti in vetrina per suscitare interesse ed attirare adesioni. In palio, per il vincitore, c'erano 5 lire. Non era una grossa somma, ma a lui, che di soldi non ne vedeva, sembrava un piccolo capitale. Una possibilità di far cambiare idea al papà. Pensava che, se avesse vinto e fosse tornato a casa con le 5 lire, forse sarebbe riuscito a riconciliarlo con lo sport, a fargli capire che poteva essere come un lavoro. Un sogno che, purtroppo, non si sarebbe avverato. Vinse ma, invece che le 5 lire, al momento della premiazione il segretario del Fascio gli consegnò il "libro del Balilla". Una mazzata per lui, che su quei pochi soldi ci aveva contato, una vigliaccata contro il padre comunista. Gli veniva da piangere ma non voleva essere deriso; non aveva più il coraggio di tornare a casa, temendone la reazione. Non disse niente della gara, buttò via il libro. Diversamente sarebbe scoppiata una tragedia.

Con papà e con le sue idee non c'era da scherzare: era tremendo. Se gli voleva bene, non lo dimostrava di certo. Quella volta che gli rubò un pizzico di tabacco per farsi una tiratina, se ne accorse, lo prese per la collottola e, afferrando una scure, minacciò di tagliargli la testa. Lo salvarono il pianto e l'immediato intervento della mamma, che riuscì a strapparglielo delle mani. Per il padre casa e lavoro erano l'unica concezione della vita, e lui era costretto ad adeguarsi. Non c'era scelta. Uscito da scuola, doveva lavorare; il divertimento non sapeva cosa fosse e la corsetta o la sgambata con gli sci doveva farle di nascosto. Finita la quinta, inevitabile che fosse costretto a lavorare. La sera, se non rientrava prima delle 8, trovava chiusa la porta. Restava senza cena e doveva arrangiarsi; per dormire andava nel fienile. In condizioni del genere pensare di trovare un po' di tempo per allenarsi era follia, eppure ci riusciva, e vennero i primi risultati che fecero capire che aveva buona stoffa, anche se nel gesto tecnico era piuttosto rozzo ma estremamente efficace. Autodidatta, nello stile pagava il mancato apprendistato.

 La "naja", sotto un certo aspetto, fu la sua fortuna perché, strappandolo dalla cupa atmosfera familiare, gli permise di sfogare nello sport tutta la tensione accumulata in quegli anni. Il Car a Trento e poi il corso di sci a Tarvisio con l'8° Alpini. Batteva gli istruttori e questo gli aprì le porte della Scuola Alpina di Aosta dove, nel sergente maggiore Tassotti, trovò quel padre che finora gli era mancato, almeno dal lato affettivo. Capito il soggetto, lo indirizzò sulla giusta strada, cercando di modificare quel carattere fino ad allora restio ad ogni forma di disciplina. Che accettava, ma non in certe forme stupide e vessatorie della vita militare.

Ci riuscì solo in parte perché anche in seguito Camillo Zanolli sarebbe rimasto insofferente di fronte a certi ordini che, anche se sbagliati ed assurdi, si dovevano eseguire senza discutere. Mentre gli altri abbassavano la testa, lui chiedeva una spiegazione. Quello che gli passava per la testa lo diceva in faccia, senza mandarlo a dire o ricorrendo a perifrasi e sottintesi. Il primo sì convinto lo ha detto solo davanti all'altare al momento di sposare un'altra Zanolli, la signora Angela, tale di nome e di fatto, con la quale divide la vita da quasi 40 anni e che gli ha dato due figli. Una donna di pasta buona, che è la sola in grado di smussare certe spigolosità di quel carattere che, quando gli salta la mosca, fa in fretta ad incendiarsi.

In nazionale è entrato nel 1952, quando al giro di Cuneo riuscì a battere tutta la squadra che aveva partecipato alle Olimpiadi di Oslo. Nordlund lo convocò al Sestriere e per lui l'allenatore svedese  fu quello che Tassotti era stato alla Scuola Alpina. Ancora oggi, quando lo ricorda, Zanolli ne parla con commozione: " Un gentiluomo, una persona onesta, leale, comprensiva, un allenatore meraviglioso che sapeva imporre e pretendere la disciplina ma lo faceva in modo elastico; capiva le necessità degli atleti e cercava di assecondarle. Gli volevamo tutti bene". Ben diversa la considerazione in cui teneva altri dirigenti, come il capitano Chigizzolla, comandante delle fiamme Gialle e dirigente Fisi, con il quale ebbe ripetuti scontri, oppure lo stesso col. Favre, che era il suo comandante alla Scuola Alpina di Aosta e responsabile del fondo.

Gli è rimasto sullo stomaco un episodio accaduto nel 1954, ai Mondiali di Falun.  “Favre, dice, aveva l'atteggiamento tipico del militare di carriera. L'atleta per lui non era un uomo che svolge un'attività tutta particolare e deve essere messo nella miglior condizione di farlo, ma veniva considerato come un subordinato al quale dare ordini. Non c'era dialogo e tanto meno confronto. Non ci ha mai concesso la possibilità di responsabilizzarci conducendo quella vita di relazione che ritenevamo più adeguata per gente che fa sport ad alto livello e che richiede una mentalità diversa da quella che si forma nelle caserme. E si infuriava se qualcuno, anche in buona fede, sgarrava da quest'ottica di disciplina a tutti i costi. Un esempio può spiegare il personaggio. Finita la 30 km, in cui mi ero classificato 34°, mentre rientravo con il resto della squadra, incontrammo un gruppo di ragazze che, vedendo che eravamo italiani, ci hanno invitati a prendere un the con i biscotti. Un gesto amichevole, che abbiamo accettato di buon grado, senza quei secondi fini che pure sarebbero stati plausibili in giovanotti di temperamento come eravamo, ma che purtroppo ha comportato un ritardo di un quarto d'ora. Il colonnello Favre, che ci stava aspettando, era furibondo. Minacciò di spedirci subito a casa, e non ci fu modo di fargli capire che si era trattato di un incontro casuale, assolutamente innocente".

 

Di scontri con i superiori  Camillo Zanolli ne ha avuto più d'uno.Gli è capitato che, pur incolpevole, rischiasse di pagare per tutti, anche perché non era abituato a defilarsi. "Mentre la squadra si trovava a Corvara per un periodo di ritiro, quelli delle Fiamme Gialle e delle Fiamme Oro hanno suscitato un po' di maretta chiedendo un aumento della diaria, che allora era di 1.000. In quella contestazione mi sono trovato coinvolto per caso, perché a me stava bene anche così. Fra stipendio, indennità di missione  e quelle 1.000 lire che per gli altri erano poche, io mi trovavo in una situazione economica che mai avrei sognato. Non avevo motivo di protestare e non l'ho fatto. Eppure, quando qualcuno ha telefonato a Milano, dalla FISI è arrivato l'ordine di spedire a casa me e Gianni Carrara. Per quanto stavolta me ne fossi estraniato, era implicito che se succedeva qualche casino io dovessi esserci per forza. Fortunatamente tutto è rientrato".

Tra uno scontro e l'altro si è comunque tolto qualche bella  soddisfazione, come due titoli consecutivi della 30 km agli assoluti (1956 e 1957), il 26° posto nella 30 km delle Olimpiadi 1956 a Cortina, la partecipazione ai Mondiali di Lahti nel 1958 e, nello stesso anno, il successo al CISM, il Campionato Mondiale Militare organizzato a Bardonecchia. Sergente maggiore, faceva parte con Ossi e Chatrian della pattuglia comandata  dal tenente Mismetti che ha battuto i favoriti finlandesi. E' uscito dalla nazionale e l'anno successivo si è congedato senza aspettare la nomina a maresciallo. "L'ambiente si era fatto pesante, mi ero appena sposato e i suoceri, che avevano due gelaterie in Germania, ce ne avevano ceduto una. Così mi sono messo a fare il gelataio ma non è durata a lungo: avevo difficoltà con la lingua e la Germania non mi piaceva. Peggio della caserma. Così siamo tornati a Zoldo dove, malgrado certi precedenti da bracconiere, ho trovato un posto da guardacaccia, incarico che ho assolto con la massima correttezza per 18 anni, durante i quali ho aperto il negozio di articoli sportivi che ora dopo oltre quarantanni di attività è stato chiuso.

Agonista di natura, il pettorale di gara lo ha indossato fino a 65 anni, partecipando quattro volte alla Marcialonga ("mi ci voleva qualche chilometro per carburare, ma poi andavo come un treno") e schierandosi immancabilmente ai campionati degli alpini. A farlo smettere ha provveduto il passo di pattinaggio, che non ha mai accettato. Un aborto della tecnica lo definisce. Più che il passo in se stesso, l'accusa, nell'ultimo di questi campionati, di aver pattinato. Squalifica inevitabile. Non era vero, ma il semplice fatto che ad un "alternista" puro e convinto si potesse contestare quella schifezza di passo che ha aborrito fin dall'inizio, lo ha convinto ad attaccare il pettorale al chiodo. Gli sci non ancora!

 

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